Latinitas Liturgica: la lex orandi della Chiesa

Descrizione del corso on-line:

La lingua delle editiones typicae dei libri liturgici della Chiesa Cattolica è sempre stata ed è tuttora la lingua latina. Essa infatti, grazie alle sue caratteristiche peculiari, si adatta in modo molto appropriato alla sacralità della liturgia. In lingua latina, inoltre, l’immutabilità della lex credendi viene adeguatamente tradotta nell’eleganza e nell’armonia della lex orandi. L’escussione dei testi latini dei libri liturgici mostrerà anche la necessità di una traduzione fedele e idonea nelle lingue volgari, senza quelle interpretazioni che a volte veicolano inesattezze ed errori teologici.

Si tratteranno, pertanto, i seguenti argomenti: 1) il latino cristiano: caratteristiche di una lingua sacra; 2) struttura delle orazioni di colletta e il senso della preghiera cristiana; 3) lettura e commento del Canon Romanus (Messale del 1962): una sublime teologia e un’autentica ecclesiologia; 4) il vocabolario del “peccato” alla luce dell’antropologia cristiana; 5) la poesia cristiana: Adoro Te devote e la teologia tomista dell’Eucaristia.

Don Roberto Spataro

 

Peter A. Kwasniewski. Perché il latino è la lingua appropriata per il culto cattolico romano

L’errore che ha portato all’abolizione del latino è stato di natura neoscolastica e cartesiana — vale a dire, il concetto secondo cui il contenuto della Fede cattolica non abbia corpo e non sia incarnato, bensì sia qualcosa di astratto dalla materia. Così, molti cattolici credono che la Tradizione consista solo in un certo numero di contenuti concettuali che sono tramandati, indipendentemente dal modo in cui li si tramanda. Ma ciò è falso. Lo stesso latino è uno degli elementi tramandati, insieme ai contenuti di tutto ciò che è scritto o cantato in latino. Inoltre, come abbiamo visto, la Chiesa stessa ha riconosciuto questo punto in molte occasioni, mettendo in risalto l’importanza del latino col tesserne le lodi, riconoscendo in esso un segno efficace dell’unità, della cattolicità, dell’antichità e della permanenza della Chiesa latina.
Il latino possiede pertanto una funzione quasi sacramentale: così come il canto gregoriano è “l’icona musicale del cattolicesimo romano” (Joseph Swain), il latino è la sua “icona linguistica”.

Leggi qui l’intero testo della conferenza tenuta da Peter A. Kwasniewski a Cleveland, Ohio, il 4 giugno 2022 (testo originale in inglese qui)

“Why Latin Is the Right Language for Roman Catholic Worship” — Full Text of Dr. Kwasniewski’s Cleveland Lecture

The error that led to the abolition of Latin was neoscholastic and Cartesian in nature—namely, the belief that the content of the Catholic Faith is not embodied or incarnate but somehow abstracted from matter. Thus, many Catholics think that Tradition means only some conceptual content that is passed down, irrespective of the way in which it is passed down. But this is not true. Latin is itself one of the things passed down, together with the content of all that is written or chanted in Latin. Moreover, as we have seen, the Church herself recognized this point on a number of occasions in singling out Latin for special praise, recognizing in it an efficacious sign of the unity, catholicity, antiquity, and permanence of the Latin Church.
Latin thus possesses a quasi-sacramental function: just as Gregorian chant is “the musical icon of Roman Catholicism” (Joseph Swain), so is Latin its “linguistic icon.”

Read the full transcription of Dr. Kwasniewski’s Cleveland Lecture of June 4, 2022 here. Italian translation here.

Stranieri anche in Chiesa

«Ma come!» voi ci fate dire, esclamare (senza certo riflettere a Chi parlate, Chi compatite, con noi): «lasciar da parte il latino, la lingua della Chiesa, la lingua tradizionale della Chiesa, la lingua nella quale si sono espressi i padri, la lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo, lasciar da parte il latino per queste lingue volgari?» E riconosciamo che, se non tutte, avete riassunto bene una buona parte delle nostre «giustificazioni», spingendo la vostra generosità fino a dire: «non le disprezziamo», e grazie, Eminenza! Item per la musica: «accantonare, archiviare», voi seguitate a scandalizzarvi, rettoricamente, in nostra vece, «tutto un patrimonio di canto gregoriano, di polifonia classica, di polifonia e di musica sacra posteriore, accumulato nei secoli, che è tutto composto su testi latini, ed esige testi latini?» Item per l’architettura, ammettendo che se «le nostre chiese, le nostre grandi chiese, tutte le nostre chiese», con buona pace di Nicola Pisano, di Arnolfo, di Bramante, del Sangallo, di Michelangelo, del Bernini e compagnia simile, non son fatte bene, «non sono fatte nel modo più funzionale» e vanno perciò rifatte o corrette («con somma prudenza», beninteso) in «senso comunitario» ossia senza «diaframmi di colonne, pilastri, navate» eccetera tra l’«assemblea» e l’unico altare nel mezzo (in una parola, sottintesa, alla protestante), rappresentano tuttavia un «patrimonio artistico» anch’esso non disprezzabile; però… «Però» (è la vostra risposta a tutto, e fa pena) «di fronte a queste, che sono pure valide cose, sta una cosa più grande: la formazione spirituale del popolo cristiano: comunicare a questo popolo la parola di Dio in maniera che la intenda e se ne nutra: accostarlo all’altare così che egli consapevolmente partecipi all’assemblea della famiglia di Dio».
Più che a una famiglia la parola «assemblea» fa pensare a un «club», a una cooperativa, a un circolo, o mettiam pure a un condominio; ma non è questo, oh no! che fa pena: ciò che fa pena – ve lo ripeto: il sangue, infatti, ribolle nelle mie vene di cattolico perdutamente innamorato della sua Chiesa – è l’ingiuria che voi lanciate (senza riflettere, sicuramente: era il carnevale, erano i giorni dei coriandoli) contro la Chiesa. Se la logica vale ancora, se non è stata riformata, anche lei, al vostro distretto, da queste come da quell’altre vostre parole è giocoforza sillogizzare che la Chiesa, fin qui, fino a voi, l’esecutore della Riforma, il Grande Slatinizzatore del Culto, la Chiesa, con tutti i suoi papi, i suoi santi, i suoi dottori, i suoi liturgisti (da papa Damaso a Schuster), non aveva, ridiciamolo, capito un’acca e conformemente non aveva fatto nulla per «la formazione spirituale del popolo cristiano»; con l’aggravante di aver mantenuto e difeso ed esaltato il suo latino quando a conoscerlo, grammaticalmente, erano pochissimi, erano propriamente i «signori», mentre oggi un po’ lo san tutti e quello di chiesa è così facile, specie per gl’italiani; né vi era il sussidio dei «messalini»: quei piccoli messali bilingui (latino-italiano, latino-francese, latino-tedesco, latino-inglese e così via, a fianco o interlineati) che a voi, è vero, non vanno (fatta eccezione, m’immagino, per quello del padre Bugnini…) rappresentando anch’essi un «diaframma tra l’altare e la nave, tra il sacerdote che presiede l’assemblea e l’assemblea stessa», e rappresentavano precisamente, nel più largo senso, il contrario sia perché davan modo ai cattolici di girare il mondo, di entrare in qualunque chiesa, «della lontanissima Santiago del Cile o della Nuova Zelanda», senza sentirsi mai stranieri, sempre sentendosi a casa propria, tra fratelli (lascio a voi la vostra «assemblea») nella chiesa della propria parrocchia; sia e soprattutto perché coi «messalini» accadeva questo, Eminenza: accadeva che, appreso più o meno in breve il significato dei testi (che si ripetono quotidianamente o annualmente), i fedeli seguivano ormai in latino, insieme al celebrante (vi lascio il «presidente»), la Messa, vinti da quell’attrattiva propria del belle che poco fa si diceva e ch’è d’ogni persona normale. «La lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo…» Proprio così, Eminenza, e vi assicuro che non è una cosa da poco: se non fosse una troppo brutta parola del vostro brutto lessico di riformati vi direi che quello era il vero «comunitarismo».
Ho visto co’ miei occhi il contrario l’estate scorsa stando al mare in una città della vostra Emilia frequentata da stranieri proprio di tutto quanto il mondo, tra cui molti cattolici, e quanto mi commoveva gli altri anni il sentirli, in chiesa, alla Messa domenicale, pregar con noi, «unanimes uno ore» in tanta diversità d’accenti, cantar con noi: «Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam», tanto mi ha rattristato, quest’anno, il vederli, accanto e lontani, guardarci muti, smarriti, stranieri – in una parola – anche lì pur se a contatto con noi di gomito, quelli che non eran rimasti fuori. La Messa, infatti, quest’anno, non era «nella lingua di tutti»: era in italiano, e questo era davvero il «diaframma», più isolante delle colonne, dei pilastri, delle navate… Parlavo con un ex-ufficiale inglese già prigioniero in Germania e mi diceva che il filo spinato e il muro di cinta e le sentinelle non gl’impedivano, la domenica, di sentirsi libero, fra i suoi, sentendo il cappellano tedesco segnarsi, in latino, e dire Introibo ad altare Dei… come il suo parroco di Londra. Ho anche presenti, e non le scorderò mai, le lacrime di un’anziana signora che dal protestantesimo s’era convertita al cattolicismo proprio o soprattutto per questa sua «splendida unità», e ora …!
«Ut unum sint», e si è cominciato col distruggere l’«unum sunt».

Tito Casini, La tunica stracciata (1967)

Dominica II Paschæ seu De divina Misericordia – 24 Apr 2022

Ant. ad introitum 1 Petr 2, 2
Quasi modo géniti infántes,
rationábile, sine dolo lac concupíscite,
ut in eo crescátis in salútem, allelúia.

Vel: 4 Esdr 2, 36-37
Accípite iucunditátem glóriæ vestræ,
grátias agéntes Deo,
qui vos ad cæléstia regna vocávit, allelúia.

Dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Deus misericórdiæ sempitérnæ,
qui in ipso paschális festi recúrsu
fidem sacrátæ tibi plebis accéndis,
auge grátiam quam dedísti,
ut digna omnes intellegéntia comprehéndant,
quo lavácro ablúti, quo spíritu regeneráti,
quo sánguine sunt redémpti.
Per Dóminum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Súscipe, quǽsumus, Dómine, plebis tuæ
(et tuórum renatórum) oblatiónes,
ut, confessióne tui nóminis et baptísmate renováti,
sempitérnam beatitúdinem consequántur.
Per Christum.

Præfatio paschalis I (in hac potíssimum die).
Quando adhibetur Canon romanus, dicuntur Communicántes et Hanc ígitur propria.

Ant. ad communionem Cf. Io 20, 27
Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum,
et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúia.

Post communionem
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus,
ut paschális percéptio sacraménti
contínua in nostris méntibus persevéret.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

Ad populum dimittendum, cantatur vel dicitur:
Ite, missa est, allelúia, allelúia.
Cui respondetur: Deo grátias, allelúia, allelúia.

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