L’imposizione della Comunione sulla mano: un abuso e una forma di clericalismo

Molti sostengono che le conferenze episcopali regionali e/o il singolo vescovo diocesano possano proibire la Comunione in bocca. Ma è veramente così? Innanzitutto possiamo notare che questi “provvedimenti” sono per lo più semplici comunicati o lettere, presentando quindi delle lacune dal punto di vista formale e giuridico e pertanto non possono in alcun modo abrogare o sospendere la norma generale della Comunione in bocca. Perché è proprio questo il punto fondamentale: la Comunione sulla lingua è la norma generale che regola la distribuzione dell’Eucaristia, confermata in modo solenne dalla Santa Sede con l’Istruzione Memoriale Domini del 29 maggio 1969. Quindi è il legislatore supremo, la Sede Apostolica, ad aver confermato la norma generale della Comunione in bocca. La stessa Istruzione prevede anche la possibilità di chiedere l’indulto della Comunione sulla mano, che dal punto di vista giuridico è una eccezione alla legge e che pertanto non può per sua natura diventare la norma generale. Per questo motivo un vescovo nella propria diocesi può fare tranquillamente un decreto con il quale vieta la Comunione sulla mano (come ha fatto il vescovo di Oruro in Colombia nel 2016), ma non può fare il contrario, ossia vietare la Comunione in bocca.

Leggi qui l’intero articolo di don Federico Bortoli.

«Et si la langue officielle de l’Union européenne devenait… le latin?»

Le latin porte en lui deux millénaires d’une culture aussi variée que le furent ses auteurs: elle a été le trait d’union d’une Europe des esprits qui à travers le temps et à travers l’espace, ont débattu, se sont disputés, mais toujours avec, en toile de fond, une identité commune. Le latin a aussi structuré les langues que nous parlons aujourd’hui en Europe, dans leur construction grammaticale ou dans leur lexique: il les subsume au-delà de leurs particularismes.
Au-delà de la culture, il y a la politique. Le latin est la langue des grands orateurs et celle du droit. Elle est la langue politique par excellence, celle qui a servi de référence à des générations de parlementaires dans les pays (notamment anglo-saxons) qui ont une tradition démocratique, celle qui a permis de former à la rhétorique des générations entières de politiques, à partir de l’imitation et de l’appropriation des Anciens.
Pour toutes ces raisons (et d’autres sans doute encore) le latin mériterait de redevenir la langue de l’Europe.

Lisez l’article complet par Sundar Ramanadane ici.