La riscrittura del canto gregoriano

Da Traditio Liturgica:

Questo post ha un carattere eminentemente utile e pratico, particolarmente per chi si trova nel bisogno di trascrivere il canto gregoriano e non ha un programma adeguato per farlo. Qualche tempo fa l’Abbazia di Fontgombault (Francia) aveva diffuso un programma per tal scopo ad un prezzo, però, piuttosto elevato.
Recentemente si è sviluppato in rete un sistema in grado di sopperire magnificamente a questo programma e per giunta gratuitamente. L’importante è avere un po’ di pazienza per imparare, ben sapendo che questo tipo di attività richiede una sorta di “amanuense informatico”.
Il sistema per scrivere in gregoriano a cui faccio riferimento si denomina con un acronimo GABC. Lo illustrerò brevemente, poi lascio ad ognuno provarlo. Provarlo con costanza è l’unico modo per impratichirsi ed avere una certa maestria e velocità.
Post completo qui.

Dominica III “per annum” – 27 Ian 2019

Ant. ad introitum Cf. Ps 95, 1.6
Cantáte Dómino cánticum novum,
cantáte Dómino, omnis terra.
Conféssio et pulchritúdo in conspéctu eius,
sánctitas et magnificéntia in sanctificatióne eius.

Collecta
Omnípotens sempitérne Deus,
dírige actus nostros in beneplácito tuo,
ut in nómine dilécti Fílii tui
mereámur bonis opéribus abundáre.
Per Dóminum.

Super oblata
Múnera nostra, Dómine, súscipe placátus,
quæ sanctificándo nobis, quǽsumus,
salutária fore concéde.
Per Christum.

Ant. ad communionem Cf. Ps 33, 6
Accédite ad Dóminum et illuminámini,
et fácies vestræ non confundéntur.
Vel: Io 8, 12
Ego sum lux mundi, dicit Dóminus;
qui séquitur me, non ámbulat in ténebris,
sed habébit lumen vitæ.

Post communionem
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens Deus,
ut, vivificatiónis tuæ grátiam consequéntes,
in tuo semper múnere gloriémur.
Per Christum.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

Messalino in PDF con letture in lingua italiana (da stampare su fogli A3 fronte/retro)

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Patriarch Gregorios III Letter on Liturgy / Lettera sulla Liturgia

41.  The Instruction for applying the liturgical prescriptions of the code of canons of the eastern churches mentions the importance of Praying towards the East in No. 107, “Ever since ancient times, it has been customary in the prayer of the Eastern Churches to prostrate oneself to the ground, turning toward the east; the buildings themselves were constructed such that the altar would face the east. Saint John of Damascus explains the meaning of this tradition: ‘It is not for simplicity nor by chance that we pray turned toward the regions of the east …. Since God is intelligible light (1 John 1: 5), and in the Scripture, Christ is called the Sun of justice (Malachi 3: 20) and the East (Zechariah 3: 8 of the LXX), it is necessary to dedicate the east to him in order to render him worship. The Scripture says: ‘Then the Lord God planted a garden in Eden, in the east, and he placed there the man whom he had formed’ (Genesis 2: 8). … In search of the ancient homeland and tending toward it, we worship God. …Waiting for him, we prostrate ourselves toward the east. It is an unwritten tradition, deriving from the Apostles.’

This rich and fascinating interpretation also explains the reason for which the celebrant who presides in the liturgical celebration prays facing the east, just as the people who participate. It is not a question, as is often claimed, of presiding the celebration with the back turned to the people, but rather of guiding the people in pilgrimage toward the Kingdom, invoked in prayer until the return of the Lord.

Such practice, threatened in numerous Eastern Catholic Churches by a new and recent Latin influence, is thus of profound value and should be safeguarded as truly coherent with the Eastern liturgical spirituality.”

41. L’Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del codice dei canoni delle chiese orientali menziona l’importanza di pregare verso l’Est nel num. 107: Sin da tempi antichissimi era in uso nella preghiera delle Chiese orientali prostrarsi fino a terra, rivolgendosi verso oriente; gli stessi edifici sacri venivano costruiti in modo che l’altare fosse rivolto ad oriente. San Giovanni Damasceno spiega il significato di questa tradizione:
«Non è per semplicismo e per caso che preghiamo rivolti verso le regioni d’oriente (…). Poiché Dio è luce (1Gv 1,5) intelligibile e nella Scrittura il Cristo è chiamato Sole di giustizia (Mal 3,20) e Oriente (Zac 3,8 secondo la LXX), per rendergli culto è necessario dedicargli l’oriente. Dice la Scrittura: “Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato” (Gen 2,8). (…) Alla ricerca della patria antica e ad essa tendendo, rendiamo il culto a Dio. Anche la tenda di Mosè aveva il telo e il propiziatorio rivolti ad oriente. E la tribù di Giuda, in quanto era la più insigne, si accampò dalla parte rivolta ad oriente (cfr Num 2,3). Nel tempio di Salomone la porta del Signore era rivolta ad oriente (cfr Ez 44,1). Infine, il Signore messo in croce guardava verso occidente, e così noi ci prostriamo rivolgendoci in direzione di lui. Al momento di ascendere in cielo era innalzato verso oriente e così i discepoli lo adorarono, e così verrà, nel modo in cui essi lo hanno visto ascendere in cielo (cfr At 1,11), come lo stesso Signore disse: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24,27). Attendendo lui, ci prostriamo verso oriente. Si tratta di una tradizione non scritta, derivante dagli Apostoli»
Questa ricca e affascinante interpretazione spiega anche la ragione per la quale chi presiede la celebrazione liturgica prega rivolto verso oriente, proprio come il popolo che vi partecipa. Non si tratta in questo caso, come spesso viene ripetuto, di presiedere la celebrazione volgendo le spalle al popolo, ma di guidare il popolo nel pellegrinaggio verso il Regno, invocato nella preghiera sino al ritorno del Signore.
Tale prassi, minacciata in non poche Chiese orientali cattoliche per un nuovo, recente influsso latino, ha dunque un valore profondo e va salvaguardata come fortemente coerente con la spiritualità liturgica orientale.
(Traduzione italiana e sottolineature di Cantuale Antonianum)
Complete letter in English here.

La tentazione del protagonismo

Intervento del card. A. Malcolm Ranjith:

Il problema è che noi Vescovi e sacerdoti, in quanto esseri umani, siamo tentati dal protagonismo:  metterci al centro ci dà soddisfazione – ciò che chiamo ‘coccolare l’ego’. Con la Messa celebrata versus populum tale tentazione è molto più forte. Con la nostra faccia verso il popolo aumenta la tentazione di essere uno ‘showman’.

In un bell’articolo scritto da un autore tedesco si trova il seguente commento interessante in materia: “Mentre nel passato il sacerdote funzionava come l’anonimo intermediario, primo tra i fedeli, rivolto verso Dio e non il popolo, rappresentante di tutti e con loro offrendo il sacrificio … oggi lui è una persona speciale, con caratteristiche personali, il suo stile personale, la sua faccia rivolta verso il popolo. Per molti sacerdoti questo cambiamento è una tentazione che non riescono a superare … per loro, il livello del loro successo nel protagonismo diventa una misura del loro potere personale e così l’indicatore di un feeling della loro sicurezza e disinvoltura personale” (K. G. Rey, Pubertätserscheinungen in der Katholischen Kirche, – Segni della Pubertà nella Chiesa Cattolica – Kritische Texte, Benzinger, vol. 4, p. 25).

Oggi si nota sempre di più una forte mancanza di consapevolezza di ciò che accade durante la celebrazione eucaristica. Con questo tipo di protagonismo del quale Rey parla, il sacerdote diventa l’attore principale che esegue un’opera teatrale con altri attori su di un palco, e più creativo e attivo egli diventa, più  pensa di essere riuscito ad impressionare gli spettatori e così  trova una soddisfazione personale. Ma dove è Cristo in tutto questo? Lui sembra essere il grande dimenticato!

Intervento completo qui.

Appello alla formazione sui documenti autentici del Concilio

Nella mentalità comune la riforma della liturgia è fondamentalmente intesa come abbandono del latino e celebrazione «verso il popolo». In questi due elementi, certamente i più impattanti sulla massa delle comunità cristiane, si è vista l’essenza quasi della «nuova liturgia» del Vaticano II. Ora, certamente, questi due elementi sono importanti e fortemente caratterizzanti, tuttavia non al punto da escludere la prassi precedente. La non accettazione assoluta delle lingue parlate e dell’orientamento «verso il popolo» è ugualmente illegittima come l’esclusione assoluta del latino e dell’orientamento «ad Deum». È abusivo sia il non riconoscere le conquiste pastorali della riforma che portano la liturgia al popolo, sia l’assurda e indiscriminata eliminazione della lingua latina e del canto gregoriano. La Chiesa nei suoi documenti ha sempre offerto il giusto equilibrio, che purtroppo è mancato ogni volta che si è voluto imporre l’una o l’altra delle due posizioni estreme.

Coloro che attentamente e regolarmente hanno seguito con intelligenza e spirito religioso di obbedienza, senza indulgere a pregiudizi di sorta, lo sviluppo dei documenti magisteriali postconciliari, soprattutto del papa Paolo VI, hanno potuto constatare la gradualità, la prudenza e l’equilibrio dottrinale e pastorale impressi alla attuazione della riforma liturgica. Purtroppo molti, accantonato l’ascolto del Magistero del Papa, si sono acriticamente abbeverati a scuole, movimenti e comportamenti estranei al pensiero della Chiesa o comunque difformi dal modo di intendere la liturgia, proprio della Chiesa. da ciò deviazioni di ogni genere e incalcolabile perdita di tempo e di floride energie. Per questo oggi ci si trova davanti ad un nuovo, urgente appello alla formazione sui documenti autentici del Concilio e sulle edizioni tipiche dei libri liturgici riformati.

Don Enrico Finotti, La liturgia romana nella sua continuità, Sugarco Edizioni 2011

Dominica II “per annum” – 20 Ian 2019

Ant. ad introitum Ps 65, 4
Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi;
psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

Collecta
Omnípotens sempitérne Deus,
qui cæléstia simul et terréna moderáris,
supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi,
et pacem tuam nostris concéde tempóribus.
Per Dóminum.

Super oblata
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine,
hæc digne frequentáre mystéria,
quia, quóties huius hóstiæ commemorátio celebrátur,
opus nostræ redemptiónis exercétur.
Per Christum.

Ant. ad communionem Cf. Ps 22, 5
Parásti in conspéctu meo mensam,
et calix meus inébrians quam præclárus est!
Vel: 1 Io 4, 16
Nos cognóvimus et credídimus caritáti,
quam Deus habet in nobis.

Post communionem
Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde,
ut, quos uno cælésti pane satiásti,
una fácias pietáte concórdes.
Per Christum.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

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Il card. Hume sulla Comunione nella mano

Avrei voluto dividere con altri un’inquietudine concernente la fede del nostro popolo nella Presenza reale del Cristo nell’Eucaristia. La Comunione nella mano, lo spostamento del Santissimo Sacramento dall’altar maggiore, l’assenza di genuflessione hanno, secondo la mia esperienza, indebolito il rispetto e la devozione dovuta a un così grande sacramento. I gesti esterni esprimono una disposizione interiore e, allo stesso tempo, contribuiscono a favorire l’atteggiamento adeguato.

Card. Basil Hume, in La Documentation Catholique n. 2211 del 3/10/1999.

Communion in the hand, moving the Blessed Sacrament from the high altar, failure to genuflect, have in my experience weakened the respect and devotion due to so great a sacrament.

(Catholic Herald 3rd September 1999)

In Epiphania Domini – 6 Ian 2019

Sollemnitas

Ubi sollemnitas Epiphaniæ non est de præcepto servanda, assignatur, tamquam diei proprio, dominicæ a die 2 ad diem 8 ianuarii occurrenti.

Ad Missam in Vigilia

Hæc Missa adhibetur vespere pridie sollemnitatis sive ante sive post I Vesperas Epiphaniæ.

Ant. ad introitum Cf. Bar 5, 5
Surge, Ierúsalem, et circúmspice ad oriéntem et vide
congregátos fílios tuos a solis ortu usque ad occásum.

Dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Corda nostra, quǽsumus, Dómine,
tuae maiestátis splendor illústret,
quo mundi huius ténebras transíre valeámus,
et perveniámus ad pátriam claritátis ætérnæ.
Per Dóminum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera nostra
pro apparitióne Unigéniti Fílii tui
et primítiis géntium dicáta,
ut et tibi celebrétur laudátio
et nobis fiat ætérna salvátio.
Per Christum.

Præfatio de Epiphania.

Ant. ad communionem Cf. Ap 21, 23
Cláritas Dei illuminávit civitátem sanctam Ierúsalem
et ambulábant gentes in lúmine eius.

Post communionem
Sacra alimónia renováti,
tuam, Dómine, misericórdiam deprecámur,
ut semper in méntibus nostris tuæ appáreat stella iustítiæ
et noster in tua sit confessióne thesáurus.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

Ad Missam in die

Ant. ad introitum Cf. Mal 3, 1; 1 Chr 29, 12
Ecce advénit Dominátor Dóminus;
et regnum in manu eius et potéstas et impérium.

Dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum
géntibus stella duce revelásti,
concéde propítius, ut, qui iam te ex fide cognóvimus,
usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis
perducámur.
Per Dóminum.

Ubi mos est, pro opportunitate, publicari possunt post Evangelium festa mobilia anni currentis iuxta formulam positam.

Dicitur Credo.

Super oblata
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuére,
quibus non iam aurum, thus et myrrha profértur,
sed quod eísdem munéribus
declarátur, immolátur et súmitur, Iesus Christus.
Qui vivit et regnat in sǽcula sæculórum.

Præfatio de Epiphania Domini.

Quando adhibetur Canon romanus, dicitur Communicántes proprium.

Ant. ad communionem Cf. Mt 2, 2
Vídimus stellam eius in Oriénte,
et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

Post communionem
Cælésti lúmine, quǽsumus, Dómine,
semper et ubíque nos prǽveni,
ut mystérium, cuius nos partícipes esse voluísti,
et puro cernámus intúitu, et digno percipiámus afféctu.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

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Non è pane, è Gesù. Il corretto modo di fare la comunione

di Padre Paul Cocard

Prefazione di mons. Athanasius Schneider

Ed. Fede & Cultura

La Comunione sulla lingua aiuta a mantenere la distinzione, ereditata dalla Parola di Dio e dalla Chiesa primitiva, tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale. Quest’ultimo deputa il prete al compito dell’Eucaristia che ne ha dunque la custodia e la responsabilità. Durante la Messa, l’Eucaristia, la sua celebrazione e la sua distribuzione gli sono affidate. San Giovanni Paolo II aveva sottolineato che il prete ha le mani consacrate per toccare l’Eucaristia.

In questo campo, la Comunione nella mano traduce di fatto una diminuzione e anche un certo rigetto della Fede cattolica nella Presenza reale. È lontano dall’essere neutro: permette al laico di mettersi allo stesso posto del prete nel suo rapporto all’Eucaristia e di smarcarsi da un forte attestato di Fede nella presenza di Cristo sotto le apparenze del pane e del vino consacrato per non riconoscervi che un segno di comunione tra tutti i membri dell’assemblea o, per lo più, un segno di una presenza puramente spirituale del Cristo.

Adoratio Eucharistica ad Orientem

Eucharistic Adoration can and should always be conducted with the priest (or the deacon) and the people facing the monstrance together. The priest (or the deacon) can give the Benediction from the people’s side of the altar rather than moving behind the altar.

L’adorazione eucaristica può e dovrebbe sempre essere fatta con il sacerdote (o il diacono) e il popolo rivolti insieme verso l’ostensorio. Il sacerdote (o il diacono) può impartire la benedizione stando sul lato anteriore dell’altare (verso il popolo), senza girarci intorno per andare dietro.

Msgr. Charles Pope